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Sulla rappresentazione

E' stato solo qualche anno dopo aver montato 'Guantanamo, Jenin', fotografie senza soggetto, se non linee in bianco e nero graffiate da segni di grafite, non di astrazione formale ma relative a quel che ritengo possa definirsi la non rappresentabilità del dolore, che ho ritrovato il testo di Genet, scritto di seguito al suo ingresso nel campo profughi di Shatila, Beirut, poche ore dopo la strage compiuta dai falangisti cristiano-libanesi sotto la diretta supervisione dell’ esercito israeliano, nel 1982.

(...)
Una piatta fotografia, uno schermo televisivo - né l'uno né l'altro si possono attraversare. Da un muro all 'altro della strada, rattrappiti o inarcati, i piedi di qua e il capo contro il muro opposto, i cadaveri gonfi e neri in cui continuamente inciampavo erano sempre di palestinesi o llbanesi. Per me come per tutta la popolazione sopravvissuta girare per Sabra e Chatila era come giocare alla saltacavallina. Basta un morto bambino a volte per bloccare una strada, sono strade così strette, quasi dei vicoli, e i morti sono talmente tanti! Mandano un odore che ai vecchi è familiare, a me non dava fastidio. Ma quante mosche! Se sollevavo la pezza o il giornale arabo posato su una testa, le infastidivo. Inferocite dal gesto mi venivano a sciami sul dorso della mano, in cerca di cibo. Il primo cadavere che ho visto era di un uomo di cinquanta o sessanta anni. Doveva avere avuto una candida corona di capelli, ma uno squarcio (ho pensato fosse opera di una scure) gli aveva aperto il cranio. Parte della materia cerebrale nerastra era per terra, a lato del capo. Tutto il corpo era steso in un lago di sangue, nero e rappreso. La cintura era slacciata, i calzoni tenuti su da un solo bottone. Piedi e gambe del morto erano nudi, neri e violacei: era stato sorpreso nel buio o all' alba? Stava scappando? Giaceva in un vicolo a destra, subito dopo l'ingresso al campo di Shatila che è di fronte all’ ambasciata del Kuwait.
(…)
Quando si guarda fisso un morto succede uno strano fenomeno: la mancanza di vita in quel corpo equivale a una mancanza totale del corpo o meglio, a un suo rìtrarsi interrotto. Anche se ci avviciniamo, ci sembra che non lo toccheremo mai. Questo se stiamo a guardare.
Ma basta un gesto rivolto al morto, chinarsi su di lui, cambiare di posto a un braccio o a un dito, ed eccolo ben presente, e quasi amico.
L'amore e la morte. Ne scrivi uno e l'altro subito accorre a completare la coppia. Ho dovuto andare a Shatila per cogliere l'oscenità dell'amore e l'oscenità della morte. In ambedue i casi, i corpi non hanno più niente da nascondere: posizioni, contorcimenti, segni, anche i silenzi appartengono all'uno e all'altro mondo.
(…)

Jean Genet. Quattro ore a Shatila.
Alfabeta n.47, aprile 1983

Con profonda compassione nello sguardo con parole che sono tagli nella realtà, Genet entra nel tempo della vita e della morte e ci costringe a guardare, nell' altro, noi stessi.
Senza assolutamente voler sminuire il significato che l'immagine fotografica ha nella comunicazione e nella denuncia e documentazione sociale e politica, anzi riconoscendone il valore, pensiamo solo alle immagini scattate subito dopo la fine della II guerra mondiale nei campi di sterminio nazisti e quanta influenza abbia avuto la loro diffusione per le generazioni ​successive, o ancora l'importanza, anche giuridica, ​della recente desecretazione delle fotografie scattate in Uruguay sulle coste del Rio della Plata ai corpi degli oppositori politici che in Argentina venivano sequestrati e torturati nei centri di detenzione clandestina per poi essere narcotizzati e gettati dagli aerei nel fiume con i cosiddetti voli della morte, così molti altri esempi, osservo in grande parte della società contemporanea una progressiva perdita della capacità di percepire la forza della rappresentazione del reale, come se il nostro sguardo fosse preda di uno stato di indifferente narcolessia verso le innumerevoli immagini che nell' immediatezza e nella rapidità si propongono e, anche per questo, nel vederle non le guardiamo più, né ci soffermiamo. Simile osservazione, riguardo la qualità dell' attenzione, può applicarsi per il pubblico che affolla le kermesse museali correndo da un opera all' altra senza pausa, ma fotografando tutto, tentativo non fausto di assimilazione vorace (masticazione esclusa) . Nell'attuale dominio dei capitalismi biopolitici, che hanno tra le ​armi più efficaci la pratica della deprivazione sensoriale, con il controllo psichico e fisico dei corpi, sino al loro annientamento, le sofferenze e i lutti risultano talmente esasperati nella reiterazione del dolore, da essere difficilmente rappresentabili, quasi fossero dei ronzii costanti nel fondo della nostra percezione.

Questo è il sonoro delle strisciate in bianco e nero di 'Guantanamo, Jenin', e Genet riafferma la funzione basilare della lingua, la sua parola è il segno, l'immagine potrà semmai esserne appendice: banale ed ovvio osservare che quanto più si riproduca e si rappresenti la realtà, tanto meno si sia in grado di comprenderla e di rivolgersi con empatia al dato fenomeno.

No such thing
As ìnnocent
By standing.

Seamus Heaney, The Spirit level, ed. Mondadori

Ancora ci aiuta Genet, eros e thanatos, altrettanto osceni, altrettanto irrappresentabili, sono invero quanto di maggiormente abusato nella comunicazione estetica contemporanea, ciò che non si può vedere, che è fuori scena, è al contrario tanto totalmente esposto che non siamo più in grado di valutarne il senso, al di là dell' effetto ed egualmente non sappiamo più rivolgerci all' altro da noi, in una condizione di smarrimento, deriva ... in luoghi dove la lingua è taglio, variazione di suono.

Grande è la responsabilità di chi produca immagini, (in ogni settore della comunicazione, compreso lo specifico dell'arte contemporanea), rispondendo alla richiesta e nel contempo alla formazione dello zeitgeist dell' industria culturale, mostrando quel che si vuol che si veda, internamente al limite negativo dell' induzione, senza considerare come la sub-cultura dell' effetto di attrazione, per il suo nascere in qualità di propaganda, contribuisca a velare uno schermo nero di anestetico torpore nella nostra capacità di guardare, di ri-velare ...

(Così nel buio della camera oscura un tempo il rivelatore permetteva l'affiorare del testo luminoso, sino ad allora fantasma, nel negativo).

Per opposizione, quando il flusso sonoro e visivo si arresta e la parola tace, nel silenzio nel rallentare, finalmente l'immagine è sintesi sospesa della pratica possibile di una visione differente.

"Que plus rien existe"
Louis Ferdinand Celine, Rigodon, ed.Einaudi

"Nuje simmo fatte cu la stoffa de li/ suonne, e chesta vita piccerella nostra/ da suonno è circondata, suonno eterno. "
Shakespeare, La Tempesta, trad. di Eduardo De Filippo, ed. Einaudi

La relazione tra il sogno generatore di visioni, psicotrope nell' atto del sognare, e le immagini che da esse si generano,molecole intangibili, ('... We are such stuff/As dreams are made on...’), è base dell' opera del 2005, 'Psicagogia nel tempo' alchimia composta manualmente, colore per colore, con un semplice effetto ottico ed un obbiettivo anamorfico e con materiali e pigmenti naturali. L'operazione estetica come luogo del passaggio di immagini ipnagogiche, attive. In un testo uscito qualche anno dopo, Jean Clair affronta argomenti di certa affinità.

{. . .) L'atto di seppellire, a questo proposito, era stato veramente la prima pratica che, all'alba dell'umanità, aveva fondato non, come si credeva, la religione e gli dei, ma la cultura e gli uomini. E' dal rito dell'inumazione che erano nate, con il bisogno di un simulacro per pacificare i sopravviventi, l'arte e le sue pratiche, gli ocra, gli ori, le perle, le maschere, le prime effigi, le pitture.
La religione, gli dei erano venuti molto dopo, come una conseguenza secondaria di questi riti sapienti. L'artista aveva sempre preceduto il prete. Prima di aver creduto in Dio, l'uomo aveva creduto nell' uomo.
In principio era la morte, in principio era l'arte.
Dio era stato fatto intervenire solo dopo.
E' solo in un secondo momento che l'uomo, scoprendo la propria morte, aveva indovinato l'immortalità delle montagne, del cielo, delle acque e cominciando a temere la potenza che le aveva create, aveva immaginato di conciliarsene il favore. Alla fede nell'uomo, e all'arte assoluta della tomba che ne era conseguenza, era succeduta la religione degli dei, con pratiche di cui l'arte sarebbe stata ormai solo la serva docile e relativa.
E solo recentemente, pochi secondi se commisurati a questa lunga evoluzione, l'arte si era degradata sino a non esser più ciò che ormai si intendeva con questa parola, ma un gesticolare erratico di sfaccendati, distaccata sia dalla religione che aveva servito, sia dai riti destinati a proteggerei dai morti che ne avevano provocato la nascita.
(…)

Jean Clair, Breve trattato delle sensazioni, ed. Diabasis, 2008

Solar Flares# ,composizione di Robert Wyatt, dà titolo ad una sequenza che non ha fine e mi accompagna negli anni, come un diario di epifanie psicogeografiche, nel passaggio… i quaderni Fantasma Obrero, Santa Lucia esquina Mapocho, El dia que el diablo vino a buscar nos, frammenti di lavoro in America Latina,vogliono essere memoria di un recente passato, attraversato appunto dall'indicibile,dal non rappresentabile, dall'osceno ... i testi di Victor Jara e Patricia Verdugo ne sono guida ... e così in sparso non ordine tagli testuali e variazioni musicali dispongono le pellicole piane, insieme al Grace- Ease di Snyder ed allo Schneepart di Celan, mentre gli Esiti antropofagici degli esili di Ulisse tra Dante, Joyce e de Andrade,guidano la deriva dei segni nell' immagine, tra la 'vitalità' di Mulas lo sciamanismo del ragno di De Martino e l'indeterminismo e l'aleatorietà di Cage, a sigillare il vodu del negativo, perché di fotografia analogica ancora si tratta.
Ho finito. La casualità del racconto si impone.

Corrado De Grazia, dicembre 2011-gennaio 2012